«Le magliette da uomo sono sempre molto richieste»: Monica Stocker conosce bene i desideri dei suoi clienti, ma anche le loro storie personali.
«Le magliette da uomo sono sempre molto richieste»: Monica Stocker conosce bene i desideri dei suoi clienti, ma anche le loro storie personali.

Dare valore agli abiti e dignità alle persone

Svizzera

Nella centrale di abbigliamento di Caritas, ogni anno vengono raccolti, selezionati e preparati per il riutilizzo migliaia di capi donati. Gli abiti sono destinati a persone con risorse limitate. Ma la centrale di abbigliamento è molto più di questo.

Con passo sicuro, Emina Nikolić* si muove tra gli scaffali della centrale di abbigliamento di Caritas a Waldibrücke, vicino a Lucerna. Sa esattamente dove cercare: «In fondo a sinistra si trovano i capi migliori», afferma.

Cliente affezionata, apprezza la varietà di abiti, scarpe e biancheria da letto, ma soprattutto i prezzi contenuti. Con il suo salario da addetta alle pulizie, ogni acquisto va ponderato con cura.

Emina Nikolić non è un caso isolato. L’accesso alla centrale è riservato a persone con un reddito basso, beneficiari dell’aiuto sociale o di prestazioni complementari, richiedenti l’asilo e rifugiati. Tutto questo è reso possibile grazie alla generosità della popolazione, a una logistica rodata e al grande impegno umano.

Ogni giorno arrivano montagne di vestiti

È ancora mattina presto quando Bestoon Bzaini arriva con il suo furgone davanti alla rampa della centrale di abbigliamento. Lo accosta perfettamente in retromarcia alla rampa di carico e poi inizia a scaricare i sacchi, stipati fino al tetto, colmi di pantaloni, maglioni, magliette e scarpe. Insieme ad altri autisti, Bzaini si occupa del ritiro, svuotando più volte alla settimana circa 50 contenitori per la raccolta di Caritas situati nella Svizzera centrale e nella regione di Zurigo.

Dinesha Murugavel nel centro di smistamento: nonostante le grandi quantità, controlla ogni singolo capo e lo ripone in scatole per lo stoccaggio provvisorio.
Dinesha Murugavel nel centro di smistamento: nonostante le grandi quantità, controlla ogni singolo capo e lo ripone in scatole per lo stoccaggio provvisorio. © Annette Boutellier

Il quarantottenne carica i vestiti in grandi carrelli. «A volte la gente butta abiti bagnati o persino spazzatura», racconta scuotendo la testa. «E poi tocca a noi smaltirli. Fortunatamente, la maggior parte dei capi è in buone condizioni», aggiunge mentre spinge uno dei carrelli colmi all’interno del magazzino.

«Quando i nostri clientitrovano un capo di secondamano alla moda, ritrovanoun senso di dignità.»

Bestoon Bzaini conosce a menadito il complesso edificio. Da giovane è fuggito dall’Iraq e, come richiedente l’asilo, il suo primo impiego è stato proprio nella centrale di abbigliamento. Già negli anni ’70, Caritas offriva in questa sede programmi occupazionali per persone escluse dal mercato del lavoro ordinario. Oggi, in media, sono circa otto le persone che, per alcune settimane o mesi, lavorano nella centrale affiancando i 20 dipendenti fissi e un gruppo di volontari.

Bzaini ha colto l’occasione e ha ottenuto un impiego stabile. «All’inizio è stato difficile», ricorda. «Tutto era nuovo per me. Ma ricevevo un salario e sono riuscito a rendermi indipendente. E per me questo ha significato molto.» Da allora è sempre rimasto legato all’azienda. Anzi, proprio nella centrale di abbigliamento ha conosciuto sua moglie. «Un incontro fortunato», afferma sorridente.

Tre quarti dei vestiti restano in Svizzera

Dopo un breve periodo di stoccaggio, i capi raccolti passano al centro di smistamento. Qui ogni fase è svolta manualmente: sistemare i sacchi, aprirli, controllare ogni indumento, valutare secondo criteri precisi se può essere riutilizzato o necessita di riparazioni, e poi smistarlo: pantaloni con pantaloni, camicie con camicie, felpe con felpe. Un lavoro rapido e preciso.

«Serve un occhio esperto e tanta costanza», racconta Dinesha Murugavel, addetta allo smistamento. «Dobbiamo fare molta attenzione, perché la qualità dei capi tende a peggiorare.» Una volta gli indumenti erano in puro cotone, oggi invece sono fatti spesso con materiali di qualità inferiore. Per questo Murugavel esamina ogni capo con cura, nonostante la quantità elevata. Un lavoro che fa bene anche all’ambiente: «Ogni pezzo che riusciamo a recuperare è uno in meno da produrre», dice, mentre controlla minuziosamente la prossima giacca.

L’autista Bestoon Bzaini consegna quasi ogni giorno nuovi capi di abbigliamento. Ma mancano ancora vestiti da uomo e per bambini.
L’autista Bestoon Bzaini consegna quasi ogni giorno nuovi capi di abbigliamento. Ma mancano ancora vestiti da uomo e per bambini. © Annette Boutellier

Dinesha Murugavel ha un vissuto simile a quello di Bestoon Bzaini: da giovane è fuggita dallo Sri Lanka e, grazie a un programma occupazionale, ha trovato impiego nella centrale di abbigliamento. Oggi, a 39 anni, lavora da oltre vent’anni a Waldibrücke, con la stessa cura e attenzione di sempre. A volte capita di trovare oggetti personali nella merce donata: se possibile, vengono restituiti, altrimenti vengono registrati come donazione.

«Lavorare nella centrale di abbigliamento mi ha permesso di ricevere un salario e diventare più indipendente. Per me significa molto.»

Ogni anno, Dinesha Murugavel e i suoi colleghi trattano diverse centinaia di tonnellate di indumenti; nel 2024 sono state ben 874 tonnellate. Il 75 per cento dei capi viene riutilizzato in Svizzera: tramite la centrale di abbigliamento, i negozi dell’usato «carla by Caritas» o per i richiedenti l’asilo che Caritas veste su incarico del Canton Lucerna o del Soccorso svizzero d’inverno. Il resto viene esportato in Polonia o in Iraq oppure trasformato in panni per le pulizie.

Un vestito nuovo rafforza l’autostima

Il fatto che la maggior parte degli abiti venga riutilizzata in Svizzera non è solo una scelta sostenibile, ma anche una risposta a un bisogno reale. Ogni anno, più di 15 000 persone con un budget limitato fanno acquisti presso la centrale di abbigliamento, e il numero è in crescita. Monica Stocker conosce bene molti di loro. È responsabile delle vendite, del magazzino e della consulenza nel negozio. «Abbiamo tanti clienti abituali», racconta. «C’è chi ama cercare da solo e chi invece si affida volentieri ai miei consigli.»

Ma Monica Stocker non si riferisce solo ai consigli in fatto di stile. Molti clienti si confidano con lei, le raccontano le loro difficoltà: esperienze di vita segnate da traumi, fuga, lavori precari o continue rinunce. «Queste storie mi toccano sempre, anche dopo 35 anni di lavoro nella centrale di abbigliamento», racconta Stocker.

Ciò che la motiva sono i momenti in cui un nuovo paio di pantaloni o una camicetta riescono a suscitare qualcosa nelle persone. Ne è convinta: «Trovare un capo di seconda mano bello e ben tenuto significa molto più che vestirsi. È un gesto che restituisce un senso di normalità, dà dignità e rafforza l’autostima.»

La centrale di abbigliamento non è soltanto un luogo in cui fare acquisti a buon mercato, bensì anche un posto dove scambiarsi e allacciare nuovi contatti sociali.
La centrale di abbigliamento non è soltanto un luogo in cui fare acquisti a buon mercato, bensì anche un posto dove scambiarsi e allacciare nuovi contatti sociali. © Annette Boutellier

Riuscire a comporre un assortimento che risponda alle diverse esigenze non è semplice. Vengono infatti donati relativamente pochi vestiti da uomo e per bambini. «Gli uomini forse acquistano meno vestiti rispetto alle donne e li indossano più a lungo, rendendoli quindi meno adatti al riutilizzo», ipotizza Monica Stocker.

Proprio per questo, Monica Stocker è grata per ogni singolo capo donato. Ognuno può fare la propria parte: «La raccolta di abiti offre alla popolazione un modo semplice e diretto per sostenere chi è in difficoltà», sottolinea convinta, «La lotta contro la povertà inizia dalle piccole cose.»

Quanto possa valere anche un piccolo gesto lo dimostra la storia di Emina Nikolic, cliente abituale della centrale di abbigliamento. A causa del suo reddito modesto, Emina è costretta a rinunciare a molte cose. Ma ai suoi tre figli vuole offrire una vita il più possibile normale. Questa mattina ha trovato un maglione per il figlio più piccolo e un bikini per la figlia. «Lo desideravano da tanto. Saranno felicissimi.»

*Nome modificato

Dove vecchi sci si trasformano in sedie

La centrale di abbigliamento non è l’unico progetto di Caritas nel settore dell’usato e dell’integrazione professionale. 12 delle 16 organizzazioni Caritas regionali gestiscono propri negozi o mercatini dell’usato.

Caritas Ginevra adotta un concetto singolare con «La Recyclerie». In sette sedi vengono offerti abiti, articoli sportivi, mobili, stoviglie, elettrodomestici e articoli per la casa. I negozi sono aperti a tutti, a prescindere dal reddito. «Per noi è un aspetto fondamentale», afferma Camille Kunz, responsabile delle vendite. «Vogliamo che tutti si sentano accolti.» Così facendo, «La Recyclerie» promuove l’inclusione sociale.

A Ginevra la domanda è molto alta: ogni giorno vengono venduti circa 1000 articoli. La merce proviene dalla popolazione, che la dona direttamente oppure ne affida il ritiro al personale di Caritas.

Il cuore pulsante della «La Recyclerie» è la «L’Upcyclerie». Qui gli oggetti usati trovano nuova vita: vecchi sci si trasformano in sedie, tende in borse eleganti e teloni da camion in originali portachiavi. «Vogliamo dimostrare che un’economia circolare è possibile», afferma Camille Kunz. Ma c’è di più: nella «L’Upcyclerie» lavorano persone escluse dal mercato del lavoro ordinario. «La sostenibilità, per noi, è un impegno concreto su più livelli: sociale, ambientale ed economico», sottolinea Kunz.

Ulteriori informazioni

Immagine principale: «Le magliette da uomo sono sempre molto richieste»: Monica Stocker conosce bene i desideri dei suoi clienti, ma anche le loro storie personali. © Annette Boutellier